Con la Sentenza n. 15976 del 27 giugno 2017, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti in merito al rapporto tra giudizio a cognizione piena e a cognizione sommaria nel c.d. “rito Fornero” e alle relative impugnazioni.
In particolare, è stata chiamata ad esprimersi sulla pronuncia di inammissibilità dell’appello proposto da una Società, datrice di lavoro, dinanzi alla Corte territoriale di L’Aquila, avverso una sentenza di primo grado del Tribunale di Teramo, Sezione Lavoro, che, in accoglimento del ricorso proposto dal lavoratore secondo il c.d. “rito Fornero”, aveva annullato il licenziamento intimato a quest’ultimo.
La Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile la domanda, adducendo che il Giudice di primo grado avesse emesso un provvedimento che, pur denominato “sentenza”, presentava in concreto i caratteri dell’ordinanza e pertanto avrebbe dovuto essere opposto, secondo quanto disposto dalla Legge Fornero per il giudizio sommario, entro 30 giorni dalla notificazione o comunicazione dello stesso, innanzi al Tribunale che lo aveva emesso (art. 1 comma 51 l. 92/2012).
La Società ha proposto ricorso in Cassazione contro il provvedimento del Giudice di secondo grado, adducendo tre motivi inerenti la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 51 della legge Fornero, in relazione ad altre norme di legge e, in particolare, tesi a criticare l’interpretazione sostenuta dalla Corte di Appello in merito alla obbligatorietà del previo esperimento dell’opposizione al provvedimento emesso dal Tribunale ai fini della proposizione del gravame.
La Suprema Corte ha riconosciuto la fondatezza dei motivi di ricorso con i quali si era contestata l’interpretazione offerta dalla Corte di Appello in ordine alla necessità di una preventiva opposizione al provvedimento emesso dal Tribunale per poter proporre appello (nel cosiddetto Rito Fornero).
Invero, nel richiamare una propria precedente pronuncia (n. 8467/2017) la Corte precisava che, al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di sentenza o di ordinanza, bisogna aver riguardo non già alla forma adottata, bensì al contenuto, alla stregua del “principio della prevalenza della sostanza sulla forma”.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, al fine della corretta identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento, rivestono rilievo preminente le caratteristiche sostanziali dello stesso, trattandosi di sentenza tutte le volte in cui il Giudice definisca la controversia con i caratteri della decisività e definitività. La sentenza richiamava, altresì, la pronunzia n. 14222/2016, la quale chiariva che, qualora un provvedimento giurisdizionale rechi un nome diverso da quello che richiederebbe il proprio contenuto, tale provvedimento non è nullo, bensì viziato da un mero errore materiale.
Secondo la Cassazione, nel caso di specie, la Corte d’Appello, pur muovendo da questo corretto principio, non era pervenuta a conclusioni coerenti con esso dal momento in cui riteneva che il provvedimento emesso dal Tribunale fosse da considerarsi sostanzialmente un’ordinanza, emessa all’esito della fase sommaria di cognizione ex art. 1 comma 49 l. 92/2012.
Per la Cassazione, al contrario, il provvedimento del Tribunale doveva essere qualificato quale sentenza, non solo perché recante la veste formale di tale tipo di provvedimento, ma, altresì, in ragione del possesso degli elementi sostanziali qualificativi, in quanto aveva deciso totalmente il merito della questione all’esito di un giudizio a cognizione piena (palese anche alla luce dell’iter procedimentale seguito dal giudice adito, il quale, escussi i testimoni addotti, aveva concesso alla parti termine per le note difensive sino all’udienza di discussione, in coerenza con i dettami di cui al comma 57 dell’art. 1 L. 92 del 2012 che disciplina, appunto, la fase di cognizione piena del c.d. rito Fornero), di guisa che l’impugnazione innanzi alla Corte d’Appello andava qualificata quale corretto rimedio avverso la pronuncia emessa in primo grado per essere, il giudice, attraverso una unificazione delle due fasi del giudizio di primo grado del c.d. rito Fornero – nel rispetto del diritto del contraddittorio e della difesa delle parti – pervenuto ad una cognizione piena ed approfondita della intera controversia, definita con una pronuncia avente la forma ed il contenuto di sentenza.
La Suprema Corte ha, pertanto, accolto il ricorso della Società, cassato la sentenza impugnata e rinviato la trattazione della causa alla Corte di Appello dell’Aquila in diversa composizione.