Il D.Lgs. n° 23 del 4 marzo 2015 lancia il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Come sancito all’art. 1, il campo d’applicazione della stessa comprende i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati e quadri (con esclusione dei dirigenti) che siano stati assunti dopo l’emanazione dello stesso ed ai casi di conversione di contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratti a tempo indeterminato, purché sempre successivi al decreto.

Per “tutele crescenti” si intendono il valore delle indennità che spettano al lavoratore in relazione all’anzianità di servizio.

I regimi risarcitori sono difformi a secondo se l’Azienda abbia o meno il c.d. requisito dimensionale o tutela reale.

Se l’Azienda ha sopra i 16 dipendenti, cioè qualora“integri il requisito occupazionale di cui all’art. 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n.300” la regola generale è che quando non ricorrano gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo o per giusta causa. Il giudice, dopo tale accertamento, dichiara l’estinzione del rapporto e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggetta a contribuzione previdenziale, pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore alle 24 mensilità.

Per i casi di motivi soggettivi disciplinari è ancora prevista la reintegra nei casi di insussistenza del fatto materiale, ossia non veridicità del fatto e non assenza di proporzionalità in quanto la norma chiarisce che “resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”. In tali ipotesi il giudice annulla il provvedimento espulsivo e condanna il datore di lavoro, oltreché alla reintegrazione del dipendente, al pagamento di un’indennità risarcitoria per il periodo che va dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva ripresa del servizio, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

Inoltre la reintegra, oltre al risarcimento del danno medio tempore maturato, è prevista nei casi di licenziamento discriminatorio nullo od inefficace, infatti il giudice può ordinare al datore di lavoro (imprenditore o non) la reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro “indipendentemente dal motivo formalmente addotto” al licenziamento. Il rapporto di lavoro si intende comunque risolto se il dipendente non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro.

Resta per il dipendente reintegrato la possibilità della c.d. opzione ossia la facoltà di richiedere al datore di lavoro un’indennità, al posto della reintegrazione, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Tale scelta comporta comunque la risoluzione del rapporto lavorativo e non è soggetta a contribuzione previdenziale.

Per le Aziende con meno di 16 dipendenti, ferma la reintegra nei casi di discriminazione/nullità, i regimi risarcitori prevedono che le indennità nei casi di giustificato motivo soggettivo o oggettivo e di giusta causa siano dimezzate e che non possano essere superiori a 6 mensilità.

Quanto ai vizi di forma, nel caso in cui il licenziamento sia intimato senza addurre una motivazione o a seguito di una contestazione fatta al lavoratore, in violazione all’art. 7 l.300/70, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro dalla data del suddetto e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio.

Di converso come forme di deflazione del contenzioso sono previste due novità normative:

1) la revoca del recesso ampliata, senza l’applicazione di sanzioni, ad ogni ipotesi di licenziamento, purché effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del provvedimento. Il rapporto di lavoro si considererà ripristinato senza soluzione di continuità ed il lavoratore avrà diritto alla retribuzione maturata nel periodo precedente;

2) l’offerta conciliativa non imponibile ai fini IRPEF, la quale prevede che il datore di lavoro, entro 60 giorni dalla comunicazione scritta del licenziamento o dei motivi di questo al lavoratore possa, nelle c.d.“sedi assistite”, offrire al dipendente un assegno circolare di ammontare pari ad 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio. L’importo, non assoggettato a contribuzione previdenziale, non potrà comunque essere inferiore a 2 mensilità e maggiore a 18. L’accettazione di tale assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche qualora sia stata già proposta.