Il D.Lgs. n°81 del 15 giugno 2015 modifica l’art.2103 del codice civile e con esso la disciplina sulle mansioni, concernente il potere del datore di lavoro di modificare le mansioni del dipendente, senza il consenso di quest’ultimo, rispetto a quanto pattuito al momento della stipula del contratto di lavoro.

L’originaria formulazione prevedeva che il lavoratore fosse adibito alle mansioni per le quali era stato assunto, o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che avesse successivamente acquisito o ancora, a quelle equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza diminuzione della retribuzione. Inoltre era prevista la nullità di ogni patto volto ad assegnare allo stesso mansioni inferiori, salvo le eccezioni tipizzate dal legislatore.

Infatti il demansionamento del lavoratore poteva aversi esclusivamente:
1) In seno alle procedure di licenziamento collettivo, qualora fosse stabilito negli accordi stipulati dai sindacati con la parte datoriale ai fini della conservazione del posto di lavoro (l. 223/91);
2) qualora il dipendente svolgesse una prestazione lavorativa, la quale comportasse il contatto, diretto o indiretto, con agenti biologici, fisici e chimici (art. 8 D.Lgs. 277/91);
3) qualora, a causa di motivi di salute, non fosse più idoneo alle mansioni assegnategli (art. 4 l. 68/99 e art. 42 D.Lgs. 81/08);
4) qualora fosse una lavoratrice in stato di gravidanza e fino a sette mesi dopo la nascita del bimbo, per evitarne l’assegnazione a prestazioni insalubri, faticose o pericolose (art. 7 D.Lgs. 151/01);

Sostanzialmente la previgente disciplina prevedeva la possibile mobilità del dipendente “verso l’alto” (c.d. mobilità verticale), verso mansioni dello stesso livello o equivalenti, purché rientranti nella stessa tipologia, a prescindere dall’inquadramento e dal trattamento economico (c.d. mobilità orizzontale) ed impediva qualsiasi forma di demansionamento, salvo le eccezioni stabilite dalla legge.

Stabilisce invece il nuovo art. 2103 c.c. che:” Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

Innanzitutto è stato sostituito il riferimento alle mansioni “equivalenti” con quello di mansioni “riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento” ciò rende certamente più chiara l’interpretazione della norma, tipizzando finalmente un aspetto della materia, che prima era delineato dalla giurisprudenza.

Infatti mentre prima, in caso di ricorso del lavoratore, il giudice del lavoro compiva una valutazione nel merito sull’effettiva equivalenza tra le nuove mansioni e le precedenti, svolte dal dipendente, volto a constatare l’effettiva tutela del patrimonio professionale di questo, adesso è attribuito il diritto al datore di lavoro di adibire il lavoratore a qualsiasi mansione purché riferibile allo stesso livello e categoria di inquadramento, secondo quanto stabilito dai CCNL.

Continua poi la nuova formulazione dell’articolo statuendo come nel caso di modifiche degli assetti organizzativi dell’azienda, che incidano sulla posizione del lavoratore, questi possa essere assegnato a mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale. Ciò determina che il datore di lavoro, qualora decida di modificare l’ organizzazione aziendale o l’attività produttiva, può certamente adibire il dipendente a mansioni inquadrate in un livello inferiore, purché appartenenti alla stessa categoria legale (art.2095 c.c.).
Tale mutamento dovrà essere comunque accompagnato, dove necessario, dall’assolvimento di un obbligo formativo, senza il quale sarà comunque valido l’atto di assegnazione alle nuove mansioni. Si tenga presente che il lavoratore, sebbene adibito a mansioni riconducibili ad un livello d’inquadramento inferiore, ha comunque diritto alla conservazione del livello d’inquadramento originario ed al trattamento retributivo goduto, salvo elementi retributivi riconducibili alle modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Diverso il caso accordi individuali volti alla modifica in pejus delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della retribuzione, purché le stesse siano volte:
– alla conservazione del posto;
– all’acquisizione di una diversa professionalità
– al miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore.

La stipula di tali accordi dovrà essere in sede protetta e quindi potrà essere prevista dagli stessi contratti collettivi o comunque avvenire dinanzi alle commissioni di certificazione. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Cambia il termine inoltre per il c.d. automatismo che garantiva il riconoscimento del livello superiore.
Nel caso in cui il lavoratore venga adibito a mansioni superiori ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e se l’assegnazione non ha avuto luogo per ragioni sostitutive di un altro lavoratore in servizio, diviene definitiva dopo il periodo fissato dagli accordi collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi, sempre qualora vi sia il consenso del lavoratore.